Lettera dalla Libia
Da una lettera scritta nel 1915 da un Tenente del Regio Esercito Italiano, lo spunto per la descrizione dei fatti accaduti un secolo dopo in questo strategico e vasto paese del Mediterraneo. La Libia oltre a ingenti riserve del miglior petrolio (il Lybian Light) – ambito da nazioni lontane e vicine – ha un’altra essenziale risorsa: riserve – per un consumo di oltre mezzo secolo – di acqua potabile fossile scoperta nel 1953 nel suo sottosuolo.
Nel maggio del 1915, un ufficiale medico italiano, Nicolò Larcan – nato a Capizzi, in provincia di Messina – scrive, da Tāurgā’ (تاورغاء – nome di origine berbera), una ridotta militare nell’entroterra libico, ad un suo caro amico, l’avvocato Nino Cardella, anch’egli ufficiale del Regio Esercito, che al momento si trovava nel suddetto paese natio.
Nicolò gli descrive l’attesa della guarnigione – composta dal 1° Battaglione del 60° Reggimento Fanteria, stanziato in Libia – in previsione dell’attacco da parte dei gruppi della Resistenza autoctona. Data la somiglianza storica con l’odierna riproposizione in campo Libico – seppur con variegate forze in conflitto e con altri scopi – il testo appare tuttora di grande attualità.
“Taorga 5 Maggio 1915, Nino amabilissimo, t’‘o scritto diverse volte indirizzando a Giacomino, ma sin’ora non ‘o avuto vostra risposta. Voglio augurarmi che siate ottimi: io discreto. Mi trovo qui a Taorga a 50 km. di distanza da Misurata città, a 65 circa dal mare: la ridotta sorge in mezzo ad una immensa pianura, arida, squallida, deserta, in cui lo sguardo può spaziare all’interno e vedere nel lontano orizzonte qualcosa di azzurro che ti ricorda il mare: è una dolce illusione ottica che si prova nel guardare in lontananza: una delle tante illusioni che la terra africana offre a chi non vi è nato.
Da che abbiamo avuto vaghe notizie della disfatta subita dalla colonna Miani, confermataci ieri con radiotelegramma, ci siamo preparati l’animo a ricevere da un momento all’altro i ribelli che fra non molto qui a Taorga, prima di rivolgersi a Misurata, ripeteranno i fatti di Mizda, e di Sirte, massacrandoci tutti. Poiché noi siamo appena 400, e provvisti di sola fucileria, mentre loro, coordinati dalle bande disertate, sono provvisti di fucili ed artiglieria, e sono in numero considerevole: in tutto 4000 circa. Come sento dire dagli altri colleghi si stava molto meglio in tempo di guerra che ora in tempo di pace – ora che è una guerriglia continuata, in cui il nemico ci si presenta più forte, più baldanzoso che mai, e si è impadronito di camion, fucili, artiglieria, e viveri nostri. Sarà quel che sarà.
‘O scritto l’altro ieri alla mamma, allo zio, ai miei tutti, senza niente dire, o far travedere di tutto quello che pensavo in quel primo giorno. Ora sono relativamente tranquillo: ma però non mi sento voglia né di scrivere, né di pensare: difatti stamane invio ai miei delle semplici cartoline illustrate. Curo i miei pochi ammalati, e poi mi aggiro fra i soldati che io sento di voler bene, e ai quali volentieri rivolgo la parola per dar qualche consiglio: assisto qualche volta alle loro istruzioni, ai giuochi, ai preparati per la difesa, che fanno attentamente, ma senza nessuna preoccupazione, ridendo quasi; da parecchi giorni non esco più a cavallo.
A sud ci sono delle bellissime oasi, fra le quali serpeggia un fiume, che poi va a perdersi nella palude pestilenziale: non ci si può andare, poiché vi abitano numerose cabile di arabi sulla cui fedeltà si sta poco sicuri. ‘O visto però il fiume, nel tratto in cui uscendo dalle oasi si avvicina al nostro attendamento: è molto grande, e costituisce una rarità per questo suolo. Ti bacio con Giacomino e gli amici tutti affettuosamente, ricordandoti, ti prego, di salutarmi i parenti vostri. Sempre affezionatissimo Nicolò.”
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Alla fine, il tenente Larcan si salverà, perché la guarnigione riceve nello stesso mese l’ordine di abbandonare la ridotta e ripiegare su Misurata Marina. Dopo le numerose pesanti sconfitte, tra cui quella di Mizda, tutte le truppe italiane presenti nell’Entroterra Libico – poco equipaggiate, e in numero inadeguato a causa del contemporaneo gravoso impegno dell’esercito Italiano sul fronte Austriaco – verranno trasferite per sicurezza nei pochi punti ancora presidiati sulla costa. Gli occupanti Italiani riusciranno a sedare gli ultimi focolai della resistenza libica in Cirenaica solo nel 1931, quando l’11 Settembre viene catturato e poi giustiziato l’eroe della Resistenza Libica, Omar Al-Mukhtar.
Libia 1933: Carabiniere accompagnato da uno Zaptiè (aiutante militare: nome di origine turca), nel territorio di Ghars Garabul, sulla costa ad Est di Tripoli, durante una perlustrazione di routine.
Libia 1933: battuta di caccia nell’arido entroterra di Ghars Garabul
Tāurgā’, durante la guerra civile del 2011 era stata fedele in blocco a Ghaddafi, e dalle sue postazioni venivano lanciati, a casaccio, centinaia di micidiali salve di missili Grad su Misurata che parteggiava per gli insorti. Quando poi questi ultimi, il 13 Agosto 2011, conquisteranno Tāurgā’, il loro comandante, per ritorsione, darà l’ordine perentorio di evacuazione entro un mese – senza farvi più ritorno – a tutti i 10mila abitanti, moltissimi dei quali di pelle scura, in quanto discendenti di schiavi, e quindi assimilati tout-court ai mercenari di cui le forze governative di Ghaddafi si erano avvalse sin dalle prime proteste contro il regime.
Vi erano due tipologie di truppe mercenarie: una consistente schiera di Murtaziqa (dal verbo arabo irtazaqa: guadagnarsi da vivere), truppe assoldate a mille dollari al giorno dal confinante Ciad e da altri paesi del Centro-Africa, che venivano mandate in avanscoperta prima dei rastrellamenti; e poi i cecchini, i Ghannasa (dal verbo arabo Ightanasa: dare la caccia), provenienti dai paesi dell’Est Europa. Oggi Tāurgā’ è una città fantasma, saccheggiata, e con i resti di numerosi negozi dati alle fiamme, scena che contrasta con l’ameno e rilassante luogo che era stato prima del conflitto.
Per inciso, truppe esterne di supporto erano state utilizzate anche dal regime fascista durante la conquista coloniale della Libia; venivano chiamati Zaptiè (dal turco Zaptiye: Polizia) costituite per lo più da Eritrei; in una fase successiva dell’occupazione esse verranno affiancate da ausiliari libici e accorpati in speciali battaglioni nell’Arma dei Carabinieri e contribuiranno alla conquista dell’Etiopia. La “pacificazione” della Libia, che aveva nel 1911 una popolazione di 800mila, costò la vita a oltre 80mila persone, ivi compresi i decessi causati da malattie e stenti durante le deportazioni di massa – la maggior parte delle quali avvenute in Cirenaica; in esse la maggior parte era composta da Beduini.
La Libia e la sua rete di distribuzione di acqua fossile
Alla metà degli anni ’50, i geologi, durante i carotaggi per alcune prospezioni petrolifere effettuate nel Sud del paese, erano incappati anche in laghi sotterranei di acqua fossile. I depositi, presenti in varie zone, alla profondità di circa 600 mt, sebbene abbiano lo spessore di solo una decina di metri, si estendono tuttavia per una lunghezza complessiva di oltre mille km, consentendo l’autonomia idrica della Libia per circa mezzo secolo, a meno che in futuro non venga considerato anche il trattamento delle acque reflue per preservare, il più a lungo possibile, tale essenziale risorsa.
I lavori per l’esecuzione dei 1300 pozzi artesiani, degli invasi e della ciclopica rete di distribuzione – costituita da condotti in calcestruzzo precompressi interrati, del diametro di quattro metri, per una lunghezza totale di 4 mila km – sono stati iniziati nel 1984 e conclusi nell’agosto del 1996. E’ stato così garantito, oltre all’approvvigionamento idrico delle città costiere e degli altri centri abitati all’interno del paese, anche lo sviluppo di un’agricoltura intensiva e di allevamenti vari.
Mappa delle risorse energetiche in Libia
Map credit: Roberto Trinchieri
La Libia, suddivisa in 22 Province o sha’biyat, copre una superficie di 1,759,540 kmq con una popolazione di 6 milioni e 420mila abitanti che erano supportati, prima del conflitto, da oltre un milione di lavoratori stranieri, in buona parte Egiziani e Tunisini.
Oltre alla capitale Tripoli – circa un milione di abitanti, in linea d’aria a soli 355 km da Lampedusa – le altre principali città sono Zawiya, Homs, Misurata, Sirte, Bengasi, Derna e Tobruk, tutte sulla costa; mentre le località all’interno più importanti sono Ghadames, Gharyan, Bani Walid, Sabha e Kufra.
La definizione di “scatolone di sabbia” coniata nel 1911 dallo storico Gaetano Salvemini è tuttora morfologicamente corretta in quanto solo il 4% del territorio può essere considerato coltivabile; oggi però si potrebbe aggiungere l’aggettivo “rovente”, perché il paese detiene il record della più alta temperatura mai registrata sul pianeta: 57,7°. Ma questo paese vanta anche un altro record mondiale: possiede il 39% delle riserve mondiali di petrolio; e della migliore qualità: il Libyan Light, con basse percentuali di zolfo e quindi più facile e meno costoso da raffinare. Uno dei pozzi di estrazione, situato in una sacca del profondo Sud, è stato battezzato Elephant, per la spropositata quantità di petrolio presente in quel giacimento.
Che la Libia fosse un territorio con ampie riserve petrolifere appare evidente nel Maggio del 1959 quando la Esso Standard Lybia scopre a Bi’r Ziltan, in Cirenaica, un esteso giacimento di petrolio. Da quel momento scatta l’interesse delle maggiori compagnie estere per aggiudicarsi le concessioni per le perforazioni su altre aree del paese.
L’ENI, insieme alle sue consociate Snam Progetti e Agip, giocherà un ruolo di primo piano nel settore petrolifero libico solo dopo l’espulsione degli Italiani residenti in Libia completata alla fine del 1970.
Da quel momento – e in concomitanza con la rinegoziazione del governo libico con le compagnie straniere già operanti nel paese dal 1957 – gli accordi bilaterali Italia-Libia saranno sempre più allargati nel tempo, interessando oltre ai settori dell’estrazione petrolifera anche i servizi correlati, e consentiranno all’Eni – prima della caduta di Gheddafi – un’estrazione di 273 mila barili al giorno e – qualora tutti gli impianti di estrazione del gas fossero riusciti a funzionare a regime – di 10 miliardi di m³/anno di metano.
Muammar Gheddafi
Muammar Gheddafi era nato il 7 giugno 1942 in un villaggio dell’area di Wadi Sharif, nella provincia della Sirte. Il 1° settembre 1969 – grazie a un colpo di stato attuato da un gruppo di ufficiali dell’Esercito Libico, da lui capeggiato – viene deposto Re Idris Al-Senussi, originario di Giarabub in Cirenaica.
Dopo la prima fase del suo insediamento Gheddafi adotterà la politica del bastone e della carota per tacitare la dissidenza interna. Infatti, ad un diffuso welfare di base per i nativi – dei quali un milione erano impiegati statali – reso possibile dalle royalty sull’estrazione petrolifera, aveva associato una forma di potere che non ammetteva proteste. L’episodio più significativo rimane il massacro del 29 giugno del 1996 di 1270 detenuti nel carcere di Abu Salim di Tripoli, la maggior parte dei quali erano aderenti ad associazioni religiose islamiche.
La Libia nel 2010 beneficiava di ingenti esportazioni di petrolio e gas con un introito annuo di $40 miliardi e una discreta riserva aurea di 116 tonnellate: l’Italia, a confronto, terza al Mondo, ne possiede 2450.
Durante i suoi 42 anni di potere, Gheddafi aveva gradualmente creato un fedele potere parallelo – se non sostitutivo – a quello dei tradizionali Capi tribù, per cui i processi decisionali non si erano più creati secondo le antiche e collaudate procedure e quindi non avevano poi rappresentano il sentire comune di uno specifico gruppo etnico tribale, anche grazie ad una maggiore urbanizzazione e istruzione tra i giovani, molti dei quali avevano frequentato università americane ed europee.
Se lo scomparso leader libico, ai primi moti di piazza nella città di Bengasi, avesse fatto un passo indietro, avrebbe risparmiato al suo paese tutte le vittime e gli ingenti danni alle infrastrutture causate dalla guerra civile. I Re del Marocco e di Giordania, invece, percependo i profondi cambiamenti epocali in corso, hanno varato delle riforme sulla gestione del potere per andare incontro almeno ad alcune delle basilari richieste dei primi dimostranti.
Il 23 ottobre 2011, in Piazza dei Martiri a Bengasi, Mustafa abdul Jalil, il Presidente del Consiglio Nazionale Libico di Transizione, leggerà il proclama di liberazione della Libia davanti ad una folla straripante.