Una coincidenza veramente inusuale
“Ma dove?”. Carmelo, un tipo dallo sguardo vivo, aveva sfogliato il calendario fino a trovare il mese di dicembre e ora muoveva il suo indice sul lungo foglio, incerto su dove posizionarlo. Alfredo gli aveva detto di mettere una nota lì, verso metà dicembre, “Che poi – aveva usato un tono scherzoso – c’è il Natale e gli Italiani sono ciappati con le festività e la cosa li scoccerebbe”.
Alfredo Cocuzza, professore di filologia germanica in pensione, era incappato in quella storia a metà settembre 2009, quando, dopo aver comprato i quotidiani, aveva deciso di prendere un caffè in una sede di periferia del Movimento Cristiano Lavoratori. Si era ricordato, mentre varcava l’ingresso, che quell’associazione era nata nei primi anni settanta dalla fusione di due correnti minoritarie di opposizione all’interno delle Acli che non gradivano la svolta socialista in quanto favorevoli ad un capitalismo dal volto umano.
Carmelo, che era il gestore del bar di quel dimesso centro sociale inserito in una vecchia cascina milanese, aveva anche una vena poetica e vantava le stesse origini siciliane di Alfredo e così i due si erano messi a chiacchierare mentre lui degustava la tazzina di lungo. Il barista gli aveva mostrato il suo libro di aforismi e poesie “Verso Nord Verso Sud – Poesie migranti”, dove, già nelle prime pagine, si stagliavano due òdi, di cui una in dialetto meneghino, alla Gran Milan, e Alfredo gli aveva chiesto di dargliene una copia; avevano parlato anche un po’ del tempo e di quell’eccessivo caldo in città pure a settembre. Si era avvicinato anche, dopo aver controllato il corretto funzionamento delle slot machine del locale, Piercarlo, il Presidente del Circolo che con voce resa rauca dalle troppe sigarette e gorgogliante nella sua ampia e tarchiata corporatura, aveva chiosato con un sorriso ironico “Siamo in ansiosa attesa della prossima opera del Carmelo: Verso Ovest Verso Est…”.
A quel punto Alfredo aveva rimuginato che se si erano ridotti a parlare del tempo, come gli Inglesi, da secoli sottoposti alle angherie meteorologiche del fronte atlantico, significava che ormai chisto è ‘o paese d’o sole per modo di dire. E aveva partecipato al Carmelo la sua convinzione – che derivava, sia dalla posizione di molti scienziati, che da sue personali considerazioni – e cioè, che da metà del secolo scorso le attività industriali si erano così ampliate, da produrre una tale quantità di calore e gas vari da minare gli equilibri termici del pianeta con conseguenze disastrose: negli inverni ci sarebbero stati così, al Nord, intense e concentrate nevicate seguite subito dopo da rialzo delle temperature con conseguenti valanghe e improvvise inondazioni; poi primavere anticipate, come pure, in estate, caldo equatoriale anticipato e autunni incredibilmente miti, se non interrotti da torrenziali ma fugaci precipitazioni; il tutto all’insegna della imprevedibilità. Senza contare, ai fini dell’effetto serra, le esalazioni di gas metano che in futuro si sarebbero liberate dalla decomposizione del permafrost scongelato delle sterminate regioni siberiane e dai depositi di idruro di metano, tenuto al momento allo stato solido nelle fredde profondità marine.
“Ma Carmelo, lei, se li ricorda gli inverni di trent’anni fa quando qui a Milano non si vedeva ad un palmo dal naso per la nebbia?” Sì, se li ricordava e aveva concordato che qualcosa si era rotto.
“Adesso – gli aveva continuato a sottolineare Alfredo, come se il barman fosse stato il suo unico spettatore attento nello Speaker’s corner di Hyde Park a Londra – ci siamo quasi del tutto liberati dalla nebbia perché a causa dell’aumento estremo dell’umidità, dovuto alla maggiore evaporazione degli oceani, a sua volta innescata dall’accelerata immissione d’acqua dolce dai ghiacciai in liquefazione, si formano dei cumuli-nembi che raggiungono anche ottomila metri di altezza, che varcano facilmente le Alpi e con frequenza aleatoria spazzano la Pianura Padana riducendo, per qualche giorno, le micidiali polveri sottili generate dal traffico e dal riscaldamento abitazioni: questo è l’unico vantaggio. Insomma, ormai è chiaro che persistono una serie di parametri fisici che portano a ritenere stabile una diffusione e recrudescenza di questi fenomeni a livello mondiale”.
Il barista aveva annuito mentre nel contempo aveva dato una passata al bancone di granito grigio rosa e riempito flûte di Prosecco a due “veci lumbard”.
“Come non ricordare, per stare in Lombardia – aveva concluso – i danni ingenti al territorio e alle infrastrutture industriali causati dalla gigantesca tromba d’aria nel luglio del 2001 ad Arcore? La temperatura scese in poche ore da oltre trenta gradi a sette e fu seguita da chicchi di grandine grossi come noci”.
L’evocazione della nota località brianzola aveva spostato a quel punto la conversazione dei due sulla politica, su Silvio Berlusconi, sostenuto con fervore dal Carmelo.
“Senta – aveva tagliato corto alla fine il professore – glielo dico in milanese: Il Silvio, “le bele che andà”. Nel senso, che come per il clima scombussolato, la politica italiana è in ebollizione per le troppe tensioni tra maggioranza ed opposizione e per certi comportamenti atipici del nostro Presidente del Consiglio che generano disarmonia nel paese: ecco, la mancanza di armonia genererà la sua caduta, che potrebbe anche essere provocata da fattori esterni, più che dalla sua, seppur animata, ampia coalizione; o anche da scelte non lineari di politica estera: insomma, per me, a dicembre, Berlusconi cade”.
Carmelo si era fermato, con una bottiglia di brandy in mano a mezz’aria, mentre stava per riempire un bicchierino ad un altro frequentatore del locale; Alfredo aveva avvertito anche, dal notevole tramestio di piedi degli anziani soci che stazionavano seduti ai tavolini, che quasi nessuno, concordava con la sua previsione.
“A dicembre? Questa me la devo segnare!” aveva esclamato il barista e si era avvicinato al calendario con i fogli a perdere appeso al muro e con una matita aveva segnato in quello di Dicembre: Fra tre mesi Silvio Berlusconi. Anche il Piercarlo, con le labbra strette da un ghigno sornione, aveva annotato diligentemente la data nell’agenda del suo BlackBerry. Poi Alfredo li aveva salutati ed era uscito dal bar.
Poi era successo il fattaccio, cui il professore non aveva minimamente pensato o augurato. Tuttavia, gli era subito venuto in mente che, sebbene il suo “Berlusconi cade” avesse significato “cade il governo Berlusconi”, il Presidente sarebbe veramente crollato a terra, dopo essere stato colpito al volto da quel Tartaglia, se non l’avessero prontamente sorretto le sue guardie del corpo.
Per giorni non si era sentito più di passare da quel bar, però la curiosità di rivedere quel foglio era grande e così si era ripresentato prima di Natale, salutato il barista e chiesto, come al solito, un caffè lungo. “Anche due!” era stata l’istantanea risposta di Carmelo. Vi era anche il Presidente, che nel frattempo era passato all’iPhone, che lo aveva guardato con occhi spalancati: gli aveva fatto senso. Alfredo aveva espresso il desiderio di fare una foto di quell’ultimo foglio del calendario e Carmelo aveva prontamente acconsentito, tenendolo in bella mostra; gli aveva anche chiesto di metterlo da parte: testimoniava, comunque, una inusuale coincidenza.
Ci era andato successivamente per commentare con il gestore del bar i suoi aforismi e le sue poesie e per prendere un altro caffè, ma il Circolo era chiuso; aveva chiesto all’edicola di fronte:”Stanno facendo dei lavori di ristrutturazione all’interno”, gli avevano risposto. Avrebbe atteso – si era detto – lui era un tipo paziente.